Dopo un sacco di tempo che non mi mettevo a scrivere, ho deciso oggi che volevo parlare di una consapevolezza bellissima: quella di essere sempre, sempre al punto giusto. Me lo ripeto ogni volta che tutto sembra andare a rotoli: “Io sono esattamente dove dovrei essere”. Nel mio percorso capirlo è stato davvero importante. E forse adesso ti stai chiedendo cosa cavolo significhi, “che sei esattamente dove dovresti”. Ora te lo spiego. Nonostante io abbia ancora moltissima strada davanti a me, in questo articolo proverò a ripercorrere a step il modo in cui ho interiorizzato questo concetto. Sarà sicuramente prezioso per me, e forse utile o interessante anche per te che stai leggendo.

Credo che ognuno di noi in fondo abbia qualcosa da cui guarire. La vita ci mette continuamente di fronte sfide di ogni genere: sarebbe impossibile riuscire sempre ad affrontarle egregiamente. Non è qualcosa che possiamo permetterci di pretendere da noi stessi. Non sarebbe realistico. Sarebbe forse quasi presunzione. Molti problemi nascono da qui: ci poniamo aspettative verso noi stessi che poi non siamo in grado di soddisfare. “Non posso sbagliare. Devo essere perfetto.”. Ecco, cominciare un percorso in questo modo è già un grandissimo errore. Il più grande errore, forse, che possiamo fare.

Io parlo per me, ma queste domande se ti va puoi portele anche tu. Mi guardo dentro: che paesaggio vedo? È tutto verde e rigoglioso? O forse qualche cicatrice c’è, nascosta fra un prato e l’altro? Magari invece è tutto deserto, con qualche piccola pianta sopravvissuta? Fermo un’immagine che mi rappresenta. La visualizzo, mi guardo intorno, la metto a fuoco. Per una volta, senza aver paura di aprire gli occhi e riconoscere ciò che non va. Accetto che qualcosa non va. Secondo una classificazione banale possiamo parlare di due tipi di ferite: quelle su cui qualcosa ha già cominciato a ricrescere, e quelle ancora aride. Traumi elaborati, interiorizzati e superati, e traumi ancora aperti e dolorosi. Mi dico che se già riesco ad identificare gli uni e gli altri sono a buon punto. Non è un problema se ancora ho diverse cose da risolvere. Ne abbiamo tutti.

I problemi irrisolti e abbandonati a sé stessi causano danni dopo qualche tempo. Quasi mai se ne stanno lì innocui, senza rifiorire ma senza nemmeno contaminare il resto. Con il tempo le cicatrici del terreno fanno marcire l’erba che le circonda. E così, ad un certo punto, non possiamo più ignorarle. Ci costringono a guardarle dritte in faccia, e in alcuni momenti ci prende il panico, perché non sappiamo come fermarle. Questo campanello d’allarme per ciascuno è diverso. Anche questo ci complica la vita, perché non possiamo riconoscerlo basandoci sulle storie degli altri. Ognuno ha il proprio sfogo. Ce ne sono tantissimi. Ansia, insonnia, mancanza di appetito. Ma anche apatia, disinteresse, svogliatezza. Sensazione di stanchezza fisica, mentale, mancanza di energie. Sono solo alcune. Sono tutte piccole notifiche che urlano: “Hey, guarda che qualcosa non va.”. Sta a noi leggerle e prenderle sul serio prima che sia tardi.

Arrivati a questo punto, solitamente ci si chiede: “Ora so che ho un problema, e quindi? Che faccio?”. Ovviamente una risposta universale non esiste, perché ancora una volta come sappiamo ciascuno di noi è diverso, e se ci fosse una ricetta sarebbe tutto più semplice. Mi viene da pensare però, che se ci fosse una ricetta non saremmo spinti a crescere. Quando affrontiamo il nostro dolore, quello su cui ci focalizziamo sempre è quanto questo sia pesante, destabilizzante, paralizzante. Ma pensandoci bene, tutta la fatica che facciamo a scrivere la nostra, personale ricetta di serenità, ci obbliga a conoscerci. Ci costringe a scavare a fondo nei nostri ricordi, a conoscere a memoria i nostri meccanismi di difesa, e il modo in cui i pensieri si generano nel nostro subconscio. Io non posso dire a nessuno qual è la sua strada per alleviare il dolore, ma sono sicura del fatto che camminando si scoprano cose meravigliose.

Il nostro piccolo campanello d’allarme non smetterà di suonare finché non ci decideremo ad amare noi stessi, con tutte le nostre forze, in ogni istante del giorno. “Conosci te stesso”, l’ha detto Socrate. Conosci ogni meandro, ogni salto compiuto dai fiumi che scorrono sulle tue montagne, conosci il punto in cui il sole spunta, e sappi dove guardare quando cala, se ti piacciono i tramonti. Conosci ogni sfumatura dei tuoi occhi, che diventano così limpidi alla luce. Conosci la forza che c’è nelle tue gambe, che finora ti hanno portato ovunque. Conosci l’espressione che ti compare sul viso quando vedi una persona che ami dopo tanto tempo. Conosciti, con i tuoi pregi e i tuoi difetti. La tua bellezza sta in entrambi, e quindi amati. Amati tanto, e ora che ti ami, perdonati.

Al tema del perdono ci tengo molto: era esattamente qui che volevo andare a parare. Non ti serve fare chilometri per cominciare a perdonarti. Se il tuo paesaggio è freddo e grigio, se il tuo paesaggio è spoglio, se il tuo paesaggio non conosce la primavera da anni, perdonati lo stesso. Smetti di sentirti in dovere di far finta di essere felice. Prendi il tempo che ti serve. Lotta per il tuo diritto di stare male. Hai diritto di non aver voglia di uscire, hai diritto di non riuscire ad alzarti, hai diritto di piangere. Hai diritto di piangere anche se sei un uomo convinto di affermare la sua forza evitando di piangere. Perdonati. Smetti di odiarti per il luogo in cui sei. E quando finalmente smetterai di odiarti e ti concederai del tempo vero per star meglio, un po’ alla volta sul tuo terreno compariranno i primi germogli.

Odio gli esperti di marketing che vendono guarigione di bassa qualità in pacchetti tutti uguali. Ogni giorno cercano di convincerci che la guarigione sia un percorso lineare. Una volta cominciata, finisce presto. Guarigione: rapida, progressiva, assicurata. Una vera, sana guarigione interiore è tutto tranne questo. Solo che pochi la mostrano per com’è. La vera natura della guarigione è una verità scomoda. Una guarigione incerta, sofferta, piena di alti e bassi non vende. Viviamo nell’epoca del “tutto e subito”. E se non è “tutto e subito”, allora pensiamo che non funzioni. E invece funziona. Ma ci vuole pazienza, ci vuole lavoro, ci vuole fatica. La guarigione non è mai, mai, mai un percorso lineare. Ha curve e cadute, e momenti in cui ci si rialza e momenti in cui ci si siede a pensare, e si mette tutto in pausa. Ognuno con il suo tempo. Senza necessità di competere con nessun altro. E ci saranno giorni in cui dirai: “Ho avuto ancora quel pensiero, non sono migliorato per niente”, e altri in cui ti sembrerà di avere già vinto. E questi si alterneranno, tante e tante volte, finché un giorno non ci spaventeranno più.

Ciò che con tutto questo volevo dire quindi, è che a qualunque punto tu sia, datti un abbraccio. Che tu sia all’inizio o a metà, che tu non abbia mai avuto l’onore di conoscere te stesso, o che invece tu sia il tuo migliore amico, in ogni caso, datti un abbraccio. Il punto in cui sei è quello giusto per te. Il tempo della tua vita ti ha portato qui, e se “qui” non ti piace, hai tutto il tempo del mondo per cambiarlo. L’unica cosa importante è che non ti senti in ritardo, che non ti senti diverso, che non ti metti fretta.

 Ti assicuro che stai andando benissimo.